Biografia - Giovannino Guareschi

 (Fonte Wikipedia)

Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (Fontanelle di Roccabianca, 1º maggio 1908Cervia, 22 luglio 1968) è stato uno scrittore e giornalista italiano, oltre che caricaturista e umorista. È uno degli scrittori italiani più venduti nel mondo: oltre 20 milioni di copie,[1] nonché lo scrittore italiano più tradotto in assoluto.[2]
La sua creazione più famosa è Don Camillo, il robusto parroco che parla col Cristo dell'altare maggiore. Il suo antagonista è il sindaco comunista del paese immaginario di Ponteratto[3] (nella trasposizione cinematografica Brescello, nella Bassa reggiana), l'agguerrito Peppone, diviso tra il lavoro nella sua officina e gli impegni della politica.


Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (Guareschi scherzava sempre sul fatto che un omone come lui fosse stato battezzato come "Giovannino") nacque a Fontanelle, frazione di Roccabianca, il 1° maggio 1908, in una famiglia della classe media. Il padre, Primo Augusto Guareschi, era commerciante, mentre la madre, Lina Maghenzani, era la maestra elementare del paese.
Finite le scuole superiori, si iscrisse all'Università di Parma. Riuscì ad entrare nel Convitto «Maria Luigia» di Parma, un'istituzione che offriva vitto e alloggio agli studenti universitari in difficoltà economiche. Qui conobbe, nel 1922, Cesare Zavattini. L'incontro fu decisivo per lo sviluppo della sua tecnica e della sua arte.
Nel 1925 l'attività del padre fallì e Guareschi non poté più continuare gli studi. Dopo aver provato alcuni lavori saltuari, entrò alla Gazzetta di Parma, come correttore di bozze, chiamato da Zavattini, caporedattore del quotidiano.
Nel 1931 iniziò come aiuto-cronista al quotidiano Corriere Emiliano, con un contratto di collaborazione fissa. Alla fine dell'anno andò a vivere da solo, in Borgo del Gesso. Aveva ventitré anni. In poco tempo diventò cronista, poi capo-cronista; scriveva articoli, novelle e rubriche, oltre a fare disegni (anche politici).
Nel 1934 partì per il servizio militare a Potenza, dove frequentò il corso allievi ufficiali. L'anno dopo i proprietari del Corriere lo licenziarono per esubero di personale.
Finito il corso, nel 1936 venne trasferito a Modena, dove in maggio fu promosso sottotenente di complemento. Poi ricevette un'altra proposta da Cesare Zavattini, che nel frattempo si era trasferito a Milano: quella di entrare in un giornale umoristico che stava per nascere.

Il «Bertoldo» (1936-1943)

Finito il servizio militare, Guareschi si trasferì a Milano, andando a vivere con la fidanzata Ennia Pallini in un monolocale in via Gustavo Modena. Nel 1938 la coppia trovò un appartamento più grande in via Ciro Menotti.
Dal 1936 al 1943 Guareschi fu redattore capo di una rivista satirica destinata a un'ampia notorietà, il quindicinale Bertoldo, rivista satirica edita da Rizzoli e diretta da Cesare Zavattini. Il primo numero apparve nelle edicole il 14 luglio 1936, giorno dedicato a san Camillo de Lellis. Guareschi vi collaborò inizialmente in qualità di illustratore.
Si trattava di una nuova rivista, pungente (pur nell'ambito del regime) e diretta a strati sociali medio-alti, in concorrenza con il popolarissimo bisettimanale Marc'Aurelio. Vi collaborarono importanti giornalisti ed illustratori del tempo. Dopo la partenza di Cesare Zavattini, a causa di forti contrasti interni, la direzione venne affidata a Giovanni Mosca, con Giovannino Guareschi capo redattore (febbraio 1937). In capo a tre anni la rivista divenne settimanale, con tirature di 500-600 mila copie, e primo tra tutti i giornali umoristici.[4] Fedele al suo carattere di bastian contrario, Guareschi, contrapponendosi alla dilagante moda del momento che voleva, anche sul Bertoldo, ubiquitarie illustrazioni di eleganti figure femminili, iniziò a disegnare la serie delle vedovone, grasse e per nulla sensuali donne d'Italia.
Nel 1938, come molti altri intellettuali e politici italiani,[5][6] (tra cui Giorgio Almirante, Piero Bargellini, Giorgio Bocca, Amintore Fanfani, Mario Missiroli, Ardengo Soffici), vide il suo nome[7] pubblicato su alcuni giornali dell'epoca come sostenitore delle Leggi razziali fasciste. È generalmente ritenuto che la lista sia stata compilata dal governo fascista e che Guareschi, come gli altri, non abbia dato il suo consenso [8]; tuttavia la pubblicazione del suo nome sui giornali fascisti ha dato origine a una polemica politica che non si è ancora conclusa[9].
Il protrarsi della seconda guerra mondiale portò alla chiusura del Bertoldo nel settembre 1943, dopo un bombardamento anglo-americano che coinvolse la sede della Rizzoli.
Durante la guerra Guareschi - penna pungente e pronta ad attaccare senza paura o riverenza i bersagli che più gli sembravano meritevoli di critica - sotto l'effetto di una sbornia, procuratasi a causa della disperazione per la notizia (poi rivelatasi falsa) della scomparsa di suo fratello sul fronte russo, insultò e inveì a lungo contro Benito Mussolini e venne arrestato a causa di una delazione fatta da un convinto fascista che lo voleva far passare per le armi.[10] Di conseguenza, riconosciutegli le attenuanti, nel 1943 venne condannato al richiamo nell'esercito. Terminò il conflitto con il grado di ufficiale di artiglieria.
Quando l'Italia firmò l'armistizio con le truppe Alleate egli si trovava in caserma ad Alessandria. Rifiutò come molti altri di disconoscere l'autorità del Re e fu quindi arrestato e inviato nei campi di prigionia nazionalsocialisti di Częstochowa e Benjaminovo in Polonia e poi in Germania a Wietzendorf e Sandbostel per due anni, assieme ad altri soldati italiani. Qui compose La Favola di Natale, racconto musicato di un sogno di libertà nel suo Natale da prigioniero. In seguito descrisse questo periodo in Diario Clandestino.

[modifica] Candido (1945-1957)

Dopo la guerra Guareschi fece ritorno in Italia e fondò una rivista indipendente con simpatie monarchiche, il Candido, settimanale del sabato. Nella rivista, insieme ad altre famose penne della satira italiana, curava numerose rubriche tra cui quella a firma "Il Forbiciastro", che spigolava nella cronaca spicciola italiana.
Guareschi era rimasto un irriducibile monarchico e non lo nascondeva. Non perse occasione per denunciare le truffe consumate ai danni della monarchia italiana. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sostenne apertamente la monarchia e denunciò i brogli che avevano ribaltato l'esito del voto popolare.

[modifica] I "trinariciuti"

La profonda fede cattolica, l'attaccamento alla monarchia e per il fervente anticomunismo fecero di Guareschi uno dei più acuti critici del Partito Comunista Italiano. Famosissime le sue vignette intitolate "Obbedienza cieca, pronta e assoluta", dove sbeffeggiava i militanti comunisti che lui definiva trinariciuti (la terza narice aveva un duplice scopo: serviva a far defluire la materia cerebrale e a far entrare direttamente le direttive del partito), i quali prendevano alla lettera le direttive che arrivavano dall'alto, nonostante i chiari errori di stampa.
Per la celebre prima vignetta del compagno con tre narici, Togliatti lo insultò con l'appellativo di "tre volte idiota moltiplicato tre" durante un comizio. Per tutta risposta Guareschi scrisse su Candido: "Ambito riconoscimento".[11]

Giovannino Guareschi a Roncole Verdi

[modifica] Le elezioni del 1948 e il contributo di Guareschi

Nelle elezioni politiche del 1948 Guareschi s'impegnò moltissimo affinché fosse sconfitto il Fronte Democratico Popolare (alleanza PCI-PSI). Molti slogan, come "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no", e il manifesto con lo scheletro di un soldato dietro i reticolati russi, che dice "100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me", uscirono dalla sua mente fervida[12].
Anche dopo la vittoria della DC e dei suoi alleati, Guareschi non abbassò certo la sua penna: anzi criticò anche la Democrazia Cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata. In particolare prese una radicale posizione di contrarietà verso i governi di centrosinistra, ovvero verso quell'alleanza tra DC e PSI che, a partire dalla metà degli anni sessanta, doveva improntare per oltre un decennio la politica italiana.

[modifica] I processi Einaudi e De Gasperi

Nel 1950 fu condannato con la condizionale ad otto mesi di carcere nel processo per vilipendio al Capo dello Stato, Luigi Einaudi. Alcune vignette sul Candido avevano messo in risalto che Einaudi, sulle etichette del vino di sua produzione (un Nebiolo), permetteva che venisse messa in evidenza la sua carica pubblica di "presidente". Guareschi non era l'autore materiale della vignetta (l'autore fu Carletto Manzoni), ma fu condannato in quanto direttore responsabile del periodico.
Nel 1954 Guareschi venne condannato per diffamazione su denuncia dell'ex presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (De Gasperi rivestì la carica ininterrottamente dal dicembre 1945 al 1953). Guareschi era venuto in possesso di due lettere autografe del politico trentino risalenti al 1944. In una di esse il futuro presidente del Consiglio, che all'epoca viveva a Roma, avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare la periferia della città allo scopo di demoralizzare i collaborazionisti dei tedeschi.
Secondo Guareschi le missive erano autentiche. Prima di pubblicarle, aveva sottoposto le lettere addirittura ad una perizia calligrafica affidandosi a un'autorità in materia, il dottor Umberto Focaccia. Al processo affermò di aver agito in buona fede. L'avvocato difensore chiese ai giudici di sottoporre le lettere ad un'ulteriore perizia, ma il Collegio giudicante respinse l'istanza motivandola così: «le richieste perizie chimiche e grafiche si appalesano del tutto inutili, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del decidere» [13].
In pratica, le uniche prove accettate furono le parole di De Gasperi, che aveva sporto personalmente querela («con ampia facoltà di prova»), il quale dichiarò che le lettere erano assolutamente false [14]. Il tribunale non accolse neppure le numerose prove testimoniali prodotte dalla difesa di Guareschi tra cui persone vicine allo stesso De Gasperi, come Giulio Andreotti[13].
Il 15 aprile Guareschi fu condannato in primo grado a dodici mesi di carcere. Non presentò ricorso in appello poiché ritenne di avere subito un'ingiustizia:
« No, niente Appello. Qui non si tratta di riformare una sentenza, ma un costume. (...) Accetto la condanna come accetterei un pugno in faccia: non mi interessa dimostrare che mi è stato dato ingiustamente.[13] »
Dopo il primo processo, un altro collegio, che doveva pronunciarsi per il reato di "falso", decise la distruzione del corpo del reato [15]. Divenuta esecutiva la sentenza, alla pena fu accumulata anche la precedente condanna ricevuta nel 1950 per vilipendio al Capo dello Stato.
Guareschi venne recluso nel carcere di San Francesco del Prato a Parma, dove rimase per 409 giorni, più altri sei mesi di libertà vigilata ottenuta per buona condotta. Sempre per coerenza, rifiutò in ogni momento di chiedere la grazia. Guareschi è stato il primo giornalista della Repubblica Italiana a scontare interamente una pena detentiva in carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Nel 1956 la sua condizione fisica si era deteriorata ed iniziò a trascorrere lunghi periodi a Cademario in Svizzera per motivi di salute.

[modifica] Gli ultimi anni

« Arrivato sul finire del 1963, tiro le somme e mi accorgo che, mentre io continuo ad avere soltanto due anni in meno di mia moglie, mio figlio e mia figlia sono arrivati ad avere rispettivamente 32 e 35 anni meno di me. Cosa che, anche solo dieci anni fa, era profondamente diversa. »
(Giovannino Guareschi)
Nel 1957 si ritirò da direttore del Candido rimanendo tuttavia un collaboratore della rivista.
Il 1961 fu un anno nefasto. Nel giugno 1961 fu colto da infarto, da cui si riprese con fatica; lo stesso anno il Candido chiuse le pubblicazioni.
Si dice pure che questi furono gli anni in cui Papa Giovanni XXIII chiese a Giovannino Guareschi, che lo conosceva come buon cristiano, di collaborare alla stesura del nuovo catechismo della chiesa cattolica. Guareschi declinò cortesemente l'invito non ritenendosi degno di tale onore.
Guareschi ricevette l'invito da parte di Nino Nutrizio a collaborare col suo quotidiano, il milanese La Notte. Guareschi rispose favorevolmente:
« Ritengo «La Notte» l'ultima isola di resistenza rimasta in campo nemico e mi auguro, come italiano, come giornalista e come amico, che tu possa ancora resistere ai «liberatori» di Milano. »
Continuò a collaborare a vari periodici con disegni e racconti. Tenne inoltre, per quattro anni e fino al 1966, una rubrica di critica televisiva intitolata Telecorrierino delle famiglie su Oggi Illustrato.[16]).
Nel 1968 gli fu riproposta la direzione del Candido da parte di Giorgio Pisanò, ma morì prima di poter ricominciare a causa di un attacco cardiaco. I suoi funerali, svoltisi sotto la bandiera con lo stemma sabaudo, furono disertati da tutte le autorità. Unici personaggi di rilievo presenti per l'estremo saluto furono Nino Nutrizio, Enzo Biagi ed Enzo Ferrari.

[modifica] Guareschi ed il potere

Il rapporto di Guareschi con il potere ha sempre dato adito a controversie. Quello che è certo è che il suo carattere irruente e sanguigno gli abbia procurato sovente dei guai con le istituzioni. Non c'è dubbio che egli dovette sopportare da un lato l'ostracismo della sinistra, dall'altro l'assoluta mancanza di riconoscenza da parte di chi la sua penna aveva numerose volte enormemente favorito.
Nel periodo delle vicende giudiziarie, Azione giovanile, rivista della Gioventù italiana di Azione Cattolica, titolò un'intera pagina con: "Guareschi ovvero lo scarafaggio". A corredo dell'articolo la foto di una mano con uno scarafaggio con la didascalia: Quando certi individui ti danno la mano ti succede di provare un senso di ribrezzo.
Nonostante il fondamentale contributo dato da Guareschi alla vittoria democristiana del 1948, dopo la carcerazione morì poco ricordato dopo un decennio di piccole collaborazioni in rubriche di alcuni periodici, ed i suoi funerali, svoltisi sotto la bandiera con lo stemma sabaudo, vennero disertati da tutte le autorità. Unici volti di rilievo Nino Nutrizio, Enzo Biagi ed Enzo Ferrari.
Il Re Umberto II di Savoia dall'esilio lo insignì dell'onorificenza di Grand'Ufficiale della Corona d'Italia.[13]

[modifica] Opere

[modifica] La saga Mondo piccolo

[modifica] Altre opere

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